La diffusione del Coronavirus in Italia ha prodotto una trasformazione del modo di lavorare che in molti non si aspettavano (per non dire quasi nessuno): un’accelerazione nell’adozione di soluzioni di smart working da parte tanto delle grandi aziende quanto delle medie e piccole imprese.
Infatti, con il protrarsi della crisi sanitaria, quella di lavorare in smart working è stata la modalità più immediatamente adottata:
- per rispondere alle necessità produttive e operative di un’azienda
- per evitare contatti e rapporti interpersonali diretti, responsabili di saluti da vicino e strette di mano sicuramente più frequenti in un contesto lavorativo che domestico
Ma come si è diffuso lo smart working in Italia? E soprattutto quale sarà l’evoluzione dello smart working col Coronavirus? Ne parliamo in questo approfondimento.
Lo smart working: cos’è e come funziona
Per rispondere alla domanda “Cos’è lo smart working?” richiamiamo la definizione data direttamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: «Lo Smart Working, o Lavoro Agile, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività».
È importante però sottolineare che non si tratta di una semplice iniziativa di work-life balance e welfare aziendale per le persone, bensì di un profondo cambiamento culturale a favore di un nuovo modo di lavorare in smart working.
Non a caso, implementare soluzioni di smart working richiede un’attenta considerazione di obiettivi e priorità, ma anche di strumenti e tecnologie adeguate per garantire un corretto approccio alla possibilità di lavorare in smart working.
E qui giungiamo alla seconda domanda: “Come funziona lo smart working?”
Le caratteristiche del lavoro agile, nonché la definizione di smart working, sono contenute nella legge 81/2017 volta a tutelare il lavoro autonomo non imprenditoriale e a favorire la flessibilità nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
L’accordo per lo smart working dev’essere infatti stipulato tra il lavoratore e il datore di lavoro e serve per:
- stabilire gli strumenti da utilizzare da remoto (pc, smartphone, tablet, ecc)
- definire il potere di controllo sulle prestazioni del lavoratore
- tutelare lo smart worker con lo stesso trattamento, economico e normativo, dei colleghi che continuano le proprie attività in sede, e questo vale anche per la tutela in caso di infortuni o di malattie professionali
- definire il tempo lavorativo, in funzione ovviamente del tipo di attività e del ruolo professionale ricoperto (sempre però entro il limite delle ore giornaliere e settimanali previste dalla legge)
Lavorare in smart working: i vantaggi per aziende e lavoratori
Inutile negare che l’adozione di soluzioni di smart working ha importanti vantaggi, sia per l’azienda sia per il lavoratore:
- le aziende risparmiano, sicuramente sui costi infrastrutturali, e ne guadagnano in produttività e welfare del lavoratore
- i lavoratori godono di una maggiore flessibilità, in termini di luoghi e orari, oltre a ridurre i costi e i tempi legati agli spostamenti
Smart working e Coronavirus: i numeri prima e dopo la pandemia
I dati divulgati a ottobre 2019 da parte dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano evidenziavano un aumento dello smart working in Italia pari al 20% rispetto al 2018.
Nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato progetti di Smart Working è stata del 58%, in lieve crescita rispetto al 56% del 2018. A questa percentuale, si aggiunge:
- un 7% che ha già attivato iniziative informali
- un 5% che ha in previsione di attuarle nei prossimi mesi
Del restante 30%:
- il 22% dichiara probabile lo smart working in futuro
- il 18% non sa se lo utilizzerà o comunque non mostra particolare interesse
Questo scenario era però valido prima del Covid-19. Cosa è accaduto poi?
Con la diffusione del Coronavirus, i DPCM emanati nel mese di marzo 2020 hanno sempre più favorito l’adozione di soluzioni di smart working anche in assenza di specifici accordi individuali.
E a tal proposito, l’indagine “Infojobs Smart Working 2020”, realizzata a marzo 2020 su un campione di 189 aziende e 1149 candidati, ha evidenziato che:
- il 72% delle aziende ha messo a disposizione mezzi e strumenti per il lavoro da remoto in breve tempo
- il 56% delle aziende ha attivato lo Smart Working
Svariati anche gli incentivi e i finanziamenti a fondo perduto per agevolare le imprese verso lo Smart Working: la Regine Lombardia, ad esempio, aveva messo a disposizione 4,5 milioni di euro per la promozione dei piani di Smart Working.
C’è anche da dire che lo scorso 14 maggio 2020, lo Smart Working è entrato nel Decreto Rilancio sancito dal Governo Conte: l’art. 90 stabilisce infatti che lo Smart Working è un diritto per chi ha figli sotto 14 anni.
Nel dettaglio, per i datori di lavoro pubblici e privati, la modalità di lavoro agile potrà essere applicata a ogni rapporto di lavoro subordinato fino alla cessazione dello stato di emergenza e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020.
Ma cosa avverrà a emergenza finita?
Molte aziende si stanno interrogando sul legame tra Smart Working e Coronavirus e su come cambierà il mondo del lavoro dopo il Covid-19.
Non possiamo sapere con esattezza con accadrà, ma possiamo sicuramente dire che – almeno sotto questo punto di vista – la diffusione del virus ha avviato un nuovo scenario che coinvolge Smart Working e Coronavirus, promuovendo nuovi modelli organizzativi, sicuramente più flessibili.
Secondo i dati dell’indagine sullo smart working promossa dalla Cgil e dalla Fondazione Di Vittorio, sono stati 8 milioni gli italiani che, a causa del lockdown, hanno lavorato da casa in questi mesi, mentre prima della pandemia erano circa 500mila.
Tra l’altro, gli italiani intervistati sembrano apprezzare la diffusione dello Smart Working in Italia:
- il 60% vorrebbe proseguire l’esperienza una volta terminata l’emergenza
- il 20% non vorrebbe continuare a lavorare in smart working.
E inoltre:
- per il 37%, il lavoro a distanza è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro
- per il 36% è stato deciso in modo unilaterale dal datore di lavoro
- il 27% lo ha negoziato attraverso l’intervento del sindacato
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E questo non solo per l’adozione dello smart working in risposta al Coronavirus, ma in generale come scelta aziendale volta all’innovazione, al miglioramento continuo e una maggiore consapevolezza del welfare aziendale.
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